Francesco Anglani: le frontiere del diritto antitrust tra lusso ed e-commerce
Francesco Anglani, partner dello studio BonelliErede, ci illustra opportunità e limiti delle vendite online nel settore dei prodotti di lusso.
Il commercio online costituisce una grande opportunità per i consumatori, che possono comodamente ricercare e acquistare prodotti a prezzi convenienti, ma anche per i produttori, che vedono moltiplicarsi la capacità di penetrazione sul mercato a costi di distribuzione significativamente ridotti.
Ciononostante, molte imprese che operano nel settore del lusso si sono inizialmente mostrate assai fredde nei confronti delle vendite online, ritenendo che internet non potesse offrire quell’“esperienza sensoriale” che si vive nelle boutique e che ha contribuito alla creazione di quell’aura di esclusività e prestigio dei nostri marchi apprezzati in tutto il mondo.
Ultimamente, tuttavia, le case di moda hanno iniziato ad interrogarsi sul come (e non più sul se) riuscire a trasmettere anche attraverso lo schermo di un computer l’eleganza e l’eccellenza che si percepiscono nei tradizionali punti vendita, così da evitare che prodotti di altissima qualità siano sminuiti da un ambiente di acquisto asettico.
La realizzazione di questo progetto impone di selezionare con particolare attenzione i propri rivenditori e di inibire le vendite online attraverso siti internet che non consentano di valorizzare adeguatamente il brand. Lo strumento tradizionalmente utilizzato per risolvere il problema è la “distribuzione selettiva” che consente di creare network cui possono accedere solo alcuni rivenditori selezionati.
Così facendo, però, si corre molto spesso il rischio di commettere illeciti antitrust, poiché la distribuzione selettiva è ammissibile (e, dunque, legittima) soltanto nel caso in cui il prodotto presenti determinate caratteristiche e la selezione dei distributori avvenga attraverso parametri (qualitativi o quantitativi) applicati in maniera trasparente e non discriminatoria.
Il tema è stato recentemente affrontato da varie autorità di concorrenza (europee e nazionali), che hanno fissato i primi paletti in merito ai limiti che possono essere imposti alle vendite online.
È stata, ad esempio, riconosciuta la legittimità dell’obbligo di rivendere i prodotti solo per mezzo di siti internet conformi a determinati standard qualitativi (quali modalità grafiche, velocità di connessione, efficienza nelle consegne e affidabilità dei sistemi di pagamento) e dell’imposizione di un numero massimo di prodotti che possano essere venduti online ad un unico acquirente (per combattere il cosiddetto free riding). Nel caso di reti distributive basate su esclusive territoriali, inoltre, è stata anche ammessa la legittimità del divieto di vendite “attive” – ovvero promosse dal distributore, ad esempio attraverso banner pubblicitari – al di fuori del proprio territorio di competenza, ma non di quelle “passive”, frutto cioè di ordini non sollecitati da parte dei clienti. Ancora aperto è, invece, il dibattito in merito alle limitazioni all’ utilizzo degli open marketplaces, quali eBay e Amazon. In alcune recenti decisioni, l’autorità antitrust tedesca sembra aver bollato come anticoncorrenziali le clausole contrattuali che vietano ai distributori di avvalersi di tali piattaforme, in quanto esse avrebbero l’effetto di privare i consumatori di un potente strumento di comparazione e i piccoli distributori di competere efficacemente con concorrenti di maggiore dimensione.
Spunti interessanti emergeranno senz’altro dalla sector inquiry sul commercio elettronico recentemente avviata dalla Commissione europea per analizzare le dinamiche competitive che caratterizzano il settore. Nel corso dell’indagine, peraltro, saranno raccolte informazioni dettagliate su tutti i profili connessi ai sistemi distributivi delle varie imprese ed eventuali infrazioni antitrust potrebbero essere sanzionate.
Ci si augura comunque che l’indagine della Commissione possa consentire agli operatori del settore di acquisire piena consapevolezza dei vincoli imposti dalla disciplina antitrust, consentendo loro di sfruttare appieno le potenzialità dei mezzi informatici senza deprimere il valore dei prodotti di alta gamma.